
Patagonia: le tappe e i consigli per un viaggio da sogno
Dalla Penisola di Valdes a Ushuaia, da Punta Arenas alle vette del Torrès del Paine e, ancora, da El Calafate con lo splendido Perito Moreno a El Chalten: come organizzare un viaggio in solitaria alla scoperta delle meraviglie mozzafiato della Patagonia argentina e cilena

Indice
- Penisola di Valdes on the road
- Fuori dalle rotte più battute
- Ushuaia: el fin del mundo
- Tierra del Fuego: tra boschi e laghi
- Punta Arenas: avamposto cileno
- Torres del Paine: natura sovrana
- El Calafate: i signori del ghiaccio
- El Chalten: il paradiso dei trekker
- I MIEI CONSIGLI
La Patagonia è “il viaggio” per antonomasia: spazi infiniti popolati da guanachi, volpi e nandù, una natura maestosa e imponente, la magia dei ghiacciai e la scenografia di picchi e vette di raro fascino. E poi, minuscoli agglomerati urbani dove il tempo sembra essersi fermato e affascinanti scogliere dove pinguini e leoni marini si godono i placidi raggi di sole. I colori nitidi, l’aria tersa e frizzante e il silenzio rotto solo dai suoni della natura rendono l’atmosfera unica e a tratti onirica.



Penisola di Valdes on the road
Un viaggio in Patagonia non può che iniziare dalla Penisola di Valdes, in Argentina, un ecosistema protetto dall’Unesco dove la natura selvaggia regna davvero sovrana (l’unico centro abitato è Puerto Piràmides, una manciata di casette, un paio di ristorantini e qualche grazioso b&b). Nonostante le strade siano sterrate e ghiaiose – e quindi non sempre praticabili – e i guanachi si divertano ad attraversarle a tutto spiano, il modo migliore per visitare la Penisola è affittare una macchina e dormire almeno una notte a Puerto Piràmides: si potranno così evitare le gite organizzate “mordi-e-fuggi” e ammirarne gli angoli più incontaminati in tutta tranquillità. Tra questi, imperdibili sono Punta Cantor, popolata da una splendida colonia di pinguini di Magellano, Caleta Valdes, regno di leoni di mare ed elefanti marini, e Punta Norte, la selvaggia e meravigliosa estremità settentrionale della Penisola, protetta da un’alta scogliera. Gli appassionati di bird watching non possono non fare una sosta anche alla Isla de los Pajaros, l’isola degli uccelli, nelle cui acque antistanti sostano centinaia di fenicotteri (una curiosità per gli amanti del Piccolo Principe: si ipotizza che Antoine de Saint-Exupéry – che è stato da queste parti in veste di pilota di aerei – si sia ispirato proprio a questo isolotto per la forma del cappello che nasconde l’elefante all’inizio del racconto).




Fuori dalle rotte più battute
Se Puerto Madryn e Trelew non sono degni di sosta se non per la loro posizione strategica (i voli in arrivo da Buenos Aires atterrano a Trelew), facendo base in una delle due cittadine si possono visitare alcune località fuori dal turismo di massa, come il piccolo eden di Punta Loma, con le suo scogliere a picco sul mare e i rumorosi leoni marini; o come Punta Tombo, con la popolosissima pinguinera dove osservare i pinguini di Magellano davvero da vicino; ma anche gli insediamenti gallesi di Gaiman e Dolavon, vere e proprie enclave brit in terra patagonica meritano una sosta: case in mattoni rossi, scritte in gaelico, roseti ed edere frondose, eleganti case da tè, che qui è una vera – e golosa – istituzione, servito con dolci di tutti i tipi.



Scendendo verso sud lungo la costa e volendo passare un paio di giorni “lontano dalla pazza folla”, il posto giusto dove fermarsi è Camarones, definito “il posto più tranquillo di tutta la Patagonia”: un incrocio di due strade con eleganti casette di inizio ‘900 incastonato in una natura ancora una volta incontaminata, sospesa tra falesie frastagliate che si gettano nel mare e distese di praterie verde-giallo; a una trentina di chilometri di strada sterrata ma panoramica, si incontra la pinguinera di Cabo dos Bahias, dove ci si ritrova letteralmente a camminare – spesso in solitaria – fra i pinguini.

Ushuaia: el fin del mundo
Arrivare a Ushuaia in aereo è già uno spettacolo di per sé: all’improvviso ci si ritrova a sorvolare picchi montuosi e vallate, laghetti e boschi che dall’alto sembrano muschio e solo alla fine, quando il velivolo è già basso, in un’ansa del Canale di Beagle ecco l’abitato e la pista di atterraggio, praticamente sul mare. Ushuaia è uno strano mix: i tetti spioventi – che più spioventi non si può – delle case tradizionali lasciano presagire inverni carichi di neve, i numerosi murales che occhieggiano qua e là dedicati agli antenati indios – siamo nella terra della tribù nomade degli yaghan – parlano di un passato che non si vuole dimenticare e, in mezzo, edifici stravaganti raccontano di una città cresciuta troppo in fretta. Siamo nella Tierra del Fuego, il territorio più a sud del mondo – sotto c’è solo l’Antartide! –, una terra frastagliata, aspra e sferzata da un vento tagliente, affacciata sul Canale di Beagle, la cui navigazione regala panorami primordiali che si imprimeranno nella mente per sempre, a iniziare dall’iconico “faro del fin del mundo”, il più a sud del mondo, che con la sua silhouette rossa e bianca svetta su un isolotto che è poco più che uno scoglio; e poi gli animali, ça va sans dire: cormorani, albatros, buffe anatre vaporiere dal becco arancione, condor patagonici e gli immancabili pinguini della piccola Isla Martillo.








Tierra del Fuego: tra boschi e laghi
Con un comodo autobus di linea, da Ushuaia si può raggiungere il Parque Nacional Tierra del Fuego, un vero paradiso terrestre dove i fitti e verdissimi boschi di lenga – alberi altissimi della famiglia dei faggi che il vento fa oscillare e addirittura scricchiolare – si adagiano su insenature e lagune di acqua cristallina, bordate da deliziose spiaggette. Tra i vari sentieri, il più coreografico è sicuramente la Senda Costera, che corre lungo il litorale per circa otto chilometri regalando scorci e colori incredibili e terminando sulla riva della Bahìa Lapataia, dove è possibile riprendere l’autobus per la città (una curiosità: esattamente qui termina la Ruta Nacional 3, che percorre tutto il continente americano, dall’Alaska alla Tierra del Fuego, per un totale di 17.848 chilometri).






Altre due perle lacustri della Tierra del Fuego, a un centinaio di chilometri da Ushuaia, meritano un’escursione, i laghi Escondido (così chiamato perché spesso nascosto dalle nubi) e Fagnano (o Kami in lingua yanghan, che significa “gran quantità d’acqua”); la particolarità di quest’ultimo, oltre a essere lungo 117 chilometri ed essere incastonato in meravigliose foreste primarie, è che le sue acque sono sempre increspate da piccole onde, causate dalla vibrazioni sotterranee della placca tettonica.


Punta Arenas: avamposto cileno
Il modo più scenografico di raggiungere Punta Arenas da Ushuaia è sicuramente in bus, possibilmente viaggiando di giorno, in modo da cogliere la mutevolezza del paesaggio che diventa via via sempre più rarefatto, con i boschi di lenga che lasciano il posto a bassi cespugli prima e a distese di erba giallastra ondeggiante al vento poi, e all’orizzonte, per gran parte del (lungo) viaggio, il mare. Mare che si attraversa nel punto dello Stretto di Magellano dove le due rive sembrano quasi toccarsi – il tragitto dura solo mezz’ora ma non mancano le emozioni, che si tratti del forte vento o dei simpatici delfini cileni che fanno capolino tra le onde –. Punta Arenas, che si raggiunge dopo una decina di ore complessive dalla partenza, è una tranquilla cittadina di provincia, con gradevoli lasciti storici – non perdete il Cementerio Municipal, tra i più affascinanti dell’America Latina – ma con un primato: a una cinquantina di chilometri dal centro si trova il Forte Bulnes, il primo insediamento cileno in Patagonia, da dove si gode una vista superba sullo Stretto di Magellano.
Torres del Paine: natura sovrana
Per quanti non desiderino fare un trekking di più giorni all’interno del Parque Nacional Torres del Paine, ma solo una – o più – escursioni giornaliere, il punto di partenza migliore dove “fare base” è Puerto Natales, affacciata su un fiordo a un centinaio di chilometri dall’ingresso del Parco. Le Torres del Paine, imponenti monoliti di granito che sovrastano la steppa patagonica da oltre 2.800 metri di altitudine, dominano paesaggi incontaminati e di rara bellezza, resi rarefatti dal vento spesso sferzante: laghi dai colori incredibili – imperdibili, tra tutti, il Pehoe dalle acque turchesi, affacciato sulle cime innevate del Cerro del Paine e il Grey, bordato dal ghiacciaio omonimo dal quale si staccano scenografici e azzurrissimi iceberg –, torrenti, cascate, foreste verde-smeraldo, praterie punteggiate di guanachi, nandù e condor.


El Calafate: i signori del ghiaccio
È ora di rientrare in Argentina per quella che, forse, è la tappa clou del viaggio: il trekking sul Perito Moreno, magistralmente organizzato dall’agenzia Hielo y Aventura. Partendo da El Calafate, dopo una settantina di chilometri – molti dei quali costeggiando l’immenso Lago Argentino – si giunge all’imponente ghiacciaio, la terza riserva d’acqua dolce del Pianeta, che si innalza di circa sessanta metri sulle acque turchesi del lago. Attraverso una serie di passerelle è possibile “circumnavigare” l’incredibile massa azzurra di acqua solida ascoltando gli schiocchi e gli schianti di pezzi di ghiaccio grandi come palazzi che si staccano e cadono in acqua, ma l’emozione più forte e imperdibile è sicuramente quella del trekking: indossati ramponi e caschetto e seguendo una guida, si può camminare sul Perito Moreno addentrandosi tra colonne, crepacci, profondi buchi pieni d’acqua – che si può bere, ed è freschissima, oltre che purissima –: una bellezza indescrivibile che termina, simpaticamente, con un whisky on the rocks, bevuto ancora con i ramponi ai piedi e con ghiaccio preso direttamente dal ghiacciaio, of course!






Ma il Perito Moreno non è l’unico ghiacciaio che si affaccia sul Lago Argentino: navigando lo specchio turchese in catamarano è infatti possibile lasciarsi incantare da un paesaggio strepitoso e ammirare altri imponenti ghiacciai come l’Uppsala e lo Spegazzini, facendo lo slalom tra iceberg così belli da sembrare sculture. Non solo: una volta tornati a El Calafate è possibile raggiungere le sponde del lago a piedi e passeggiare per un paio d’ore nella deliziosa Laguna di Nimez, un meraviglioso ambiente umido ricco di aviofauna – ci sono anche i fenicotteri rosa – per poi visitare l’interessante Glaciarium, un museo dedicato al mondo dei ghiacci ospitato in un avveniristico edificio che ricorda proprio il fronte di un ghiacciaio.



El Chalten: il paradiso dei trekker
Percorrendo la mitica Ruta 40, una striscia di asfalto larga quanto basta per avere due corsie in mezzo alla steppa patagonica infinita, all’improvviso il paesaggio cambia: iniziano a vedersi le montagne, dapprima sassose e brulle, finché appare il Fitzroy, dalla vetta innevata e avvolta da una coltre di nubi. Ai suoi piedi, il piccolo agglomerato di El Chalten, un gomitolo di vie spesso frustate dal vento con ristorantini, pub, piccoli lodge e ostelli confortevoli. Dall’abitato si diramano numerosissimi percorsi, adatti a tutti i tipi di escursionisti, dai più allenati ai neofiti delle passeggiate in montagna. Tra i più abbordabili – ma non per questo meno emozionanti – ci sono sicuramente gli itinerari che portano a Laguna Torre (circa nove chilometri, difficoltà media tra salite e pianori, boschi e pietraie, con un tempo di percorrenza di otto ore tra andata e ritorno) e quello che, in una passeggiata di un’ora e tre quarti, arriva a Laguna Capri. Il primo, oltre a regalare panorami mozzafiato sul Cerro Torre, termina in una piccola laguna incastonata tra picchi aguzzi e ghiacciai, dove galleggiano iceberg scultorei. Il secondo invece, un’agevole camminata tra i boschi, regala scorci meravigliosi del Fitzroy, con la sua silhouette inconfondibile, e porta a uno splendido specchio di acqua limpidissima e fresca.
Termina così il mio indimenticabile viaggio in Patagonia: non mi resta che prendere l’aereo da El Calafate e fermarmi qualche giorno a Buenos Aires.





I MIEI CONSIGLI
– All’andata, non fermatevi a Buenos Aires, ma proseguite direttamente fino a Trelew: lasciate la visita della capitale argentina per gli ultimi giorni del viaggio, quando vorrete riposarvi “al caldo” e fare vita di città prima di rientrare in Italia.
– La stagione migliore per affrontare questo viaggio è il nostro inverno, quando in America Latina è piena estate: a Buenos Aires toccherete probabilmente i 35 gradi, ma in Patagonia la temperatura sarà fresca senza essere eccessivamente fredda.
– Per visitare la Penisola di Valdes, come scrivo, è necessario noleggiare un’auto: attenzione che le strade non sono asfaltate ma ricoperte di “ripio”, ovvero di ghiaia, e diventano quindi scivolose quando piove. Non solo: se le strade sono poco battute, potreste fare letteralmente fatica a procedere e le ruote potrebbero slittare a causa della grande quantità di ghiaia accumulatasi: a me è capitato andando verso Camarones da una “scorciatoia” che mi aveva proposto Google Maps (la Ruta Provincial 68); mi è bastato tornare sulla Ruta Nacional 3 per ritrovare l’asfalto e poter procedere verso la mia tappa.
– Prendetevi un paio di giorni per andare oltre le destinazioni più battute: Camarones, la pinguinera di Cabos dos Bahias e le strade – deserte su panorami mozzafiato – per raggiungerli, per esempio, sono super affascinanti. (Se l’aveste saltato, ne parlo nel paragrafo “Fuori dalle rotte più battute“).
– Il mio viaggio, inclusi 4 giorni finali a Buenos Aires, è durato 25 giorni.
A parte la macchina nella Penisola di Valdes e l’aereo fino a Ushuaia e poi da El Calafate a Baires, mi sono sempre spostata con gli autobus: comodi, puntuali, puliti; in alta stagione, però, (ovvero dicembre-febbraio, quando argentini, brasiliani e cileni hanno le vacanze estive e i viaggiatori sono più numerosi) prenotateli con anticipo.
