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Tanzania: tre must-see fuori dalle rotte comuni

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Quasi tutti i viaggiatori che decidono di fare un safari in Tanzania approdano ad Arusha, la classica città africana architettonicamente disordinata, incasinata e proprio per questo pittoresca. Eppure, quasi tutti la usano solo come stop-over di una notte per ripartire subito il giorno dopo per i grandi parchi nazionali. Invece, facendo base ad Arusha per un paio di giorni, si può scoprire una Tanzania fuori dalle rotte comuni, capace di celare veri e propri gioielli naturalistici.

Immaginate una sorgente geotermale calda, dalle acque cristalline e trasparenti, nascosta nel cuore di una vera e propria oasi tropicale, tra palme e liane: i due laghetti di Chemka – a circa un’oretta da Materuni e a una settantina di chilometri da Arusha ­– di un blu-turchese sorprendente, sono un vero eden nel quale nuotare, tuffarsi – in alcuni punti la profondità arriva a dieci metri e ci si può lanciare in acqua anche appesi a una fune – rilassarsi o… farsi fare un “peeling” dai minuscoli pesci garra, della famiglie delle tilapie, che mangiano la pelle morta. La parola “Chemka” in swahili significa “bollente” e il nome si riferisce non tanto alla temperatura dell’acqua, quanto alle bolle che si producono in superficie nel punto esatto della sorgente. Probabilmente per lo stesso motivo, secondo una leggenda chagga, l’oasi è abitata da spiriti divini e chiunque vi sussurri i propri desideri li vedrà realizzati.

E infine, la chiusura ideale di un intenso viaggio in Tanzania è proprio una giornata ad Arusha, per comprare gli ultimi regali ma soprattutto per immergersi davvero nella vita locale. Il primo posto dove “perdersi” è sicuramente il mercato centrale: una sarabanda di colori e odori, di gente indaffarata e di merce accatastata in ogni dove. L’ideale è addentrarsi tra i banchi del mercato in compagnia di una “guida” – all’ingresso diversi giovani vi si proporranno: non sottovalutate il valore aggiunto che possono rappresentare, non solo per orientarvi nel labirinto di corsie, ma anche per spiegarvi i prodotti più curiosi e per fare da intermediari con i locali per scattare bellissime foto senza dover discutere –. Spezie, frutta e verdura, semi mai visti – assolutamente da provare, benché il gusto agrodolce non sia proprio piacevole, gli ubuiu, i semi di baobab – si alternano a macellerie open-air e a distese infinite di acciughe essiccate e salate. I più attenti verranno attirati da piccoli banchi un po’ defilati zeppi di pezzi di corteccia, rametti, foglie e misteriosi barattoli contenenti polveri di tutti i colori: sono gli ingredienti della medicina tradizionale masai, tutta naturale e meno costosa di quella “ufficiale”; le miscele, preparate al momento da moderni stregoni in base ai sintomi da curare, vengono tramandate solo oralmente, di generazione in generazione.

Se ancora non si fosse stanchi di mercati, quello del Kolombero – assolutamente non turistico – è un vero labirinto di colorata vita locale, dove vengono venduti anche utensili, vestiti, scarpe, borse e persino giocattoli.

Per chi volesse unire lo shopping all’arte, il posto giusto è invece, l’Arusha Cultural Heritage Centre: una delle più grandi collezioni di arte tribale – antica e contemporanea – dell’Africa Orientale, ospitata in un avveniristico edificio che richiama nell’architettura tre oggetti rituali africani: il tamburo, lo scudo e la lancia. All’interno, oltre a maschere, statue e feticci, si possono acquistare anche manufatti nelle coloratissime stoffe locali e gioielli con la preziosa quanto bellissima tanzanite.

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